30 settembre 2009
Un caso di disobbedienza fiscale: ma chi sostituirà il sostituto?
E’ di questi giorni la notizia stando alla quale un imprenditore di Pordenone, stanco di ritenute fiscali da operare sulle retribuzioni pagate ai propri dipendenti, ha deciso di togliersi la casacca del sostituto, di versare le suddette retribuzioni al lordo e di mettere i citati dipendenti nella condizione di procedere, direttamente e in prima persona, al pagamento dell’IRPEF.
La notizia è stata riportata da molti quotidiani nazionali e il nostro imprenditore, intervistato da una troupe televisiva, avrebbe dichiarato di aver spezzato, in questo modo, le catene della schiavitù tributaria. Il concetto di “schiavitù” dovrebbe esprimere – se ho ben compreso – la particolare situazione nella quale lo Stato impone gravosi adempimenti a carico di chi esercita l’attività d’impresa, forte del fatto che coloro i quali vengono chiamati alla effettuazione delle ritenute dispongono, in ragione dell’attività svolta, di una organizzazione adatta allo scopo.
Chiunque è in grado di comprendere che l’organizzazione degli uffici amministrativi di una grande multinazionale è diversa dall’organizzazione che connota l’azienda di un artigiano, dove il numero dei dipendenti può essere esiguo e dove, talvolta, lo stesso titolare è costretto a destreggiarsi tra fatture, ritenute, codici tributo, aliquote e così via.
La legge, peraltro, non tiene conto di queste sfumature quantitative ed impone agli imprenditori commerciali, nessuno escluso, di agire in rivalsa nei confronti dei propri dipendenti, a prescindere dal numero di questi ultimi.
Gli effetti di tale scelta legislativa potrebbero apparire, in alcuni casi, perversi. Invero, tanto più è consistente l’organizzazione produttiva, tanto maggiore è il numero dei collaboratori e tanto più elevate sono le possibilità di allestire, all’interno della propria azienda, un ufficio fiscale, tanto più si riduce – per la legge delle economie di scala – il peso amministrativo-burocratico derivante dalle disposizioni sulle ritenute. E’ verosimilmente più facile gestire il flusso di ritenute quando si hanno a libro paga 100 dipendenti e un buon direttore amministrativo, piuttosto che quando i dipendenti sono solamente uno o due, con un imprenditore che, anche in considerazione del periodo di particolare ristrettezza economica in cui viviamo, punta molto sul “fai da te”.
Queste rapide considerazioni consentono forse di spiegare la reazione dell’imprenditore pordenonese, il quale, sprovvisto di una solida struttura amministrativa, non se l’è sentita di dedicare il proprio tempo e le proprie energie per la gestione di rapporti fiscali (quelli tra i lavoratori dipendenti e lo Stato) che, dal suo punto di vista, non lo riguardano.
Il messaggio che ci viene in tal modo trasmesso è molto chiaro: ognuno dovrebbe giocare da solo la partita con l’Agenzia delle Entrate, in relazione al proprio reddito e con possibilità, dunque, di dichiarare, di liquidare l’imposta e finanche di opporsi, se necessario, agli atti di accertamento. Queste possibilità sarebbero oggi precluse al lavoratore dipendente, il quale, se privo di altre fonti reddituali, è sottoposto a ritenute alla fonte capaci di esaurire, fino all’ultimo euro, il rapporto con il Fisco. E’ grazie a tale meccanismo che milioni di lavoratori dipendenti non presentano la dichiarazione tributaria e non hanno contatti con l’amministrazione finanziaria.
Io credo che gli imprenditori siano liberi di comportarsi come credono e di stabilire, secondo schemi decisionali sui quali non posso soffermarmi in questa sede, quali leggi rispettare e quali, invece, infrangere. Chi utilizza questa libertà, peraltro, deve essere disposto ad accettare le conseguenze delle proprie azioni.
Bisogna essere consapevoli del fatto che, quando si agisce – come nel nostro caso – sul fronte delle ritenute, v’è il pericolo di danneggiare un meccanismo sul quale, lo si voglia o meno, poggia buona parte del sistema di tassazione dei redditi.
Sia ben chiaro il mio punto di vista. L’imprenditore di Pordenone non è un evasore o un elusore: non ha nascosto nulla al fisco; non ha dedotto costi che non avrebbe potuto dedurre; non ha rappresentato in modo sbagliato il proprio reddito e nemmeno ha approfittato di smagliature del sistema per assicurarsi posizioni che il medesimo sistema, direttamente o indirettamente, disapprova. Si è solo limitato ad un “non fare”, a “disobbedire”, senza peraltro interferire sul gettito erariale, dato che i dipendenti pagati al lordo non sono esonerarti dalla dichiarazione e dal conseguente versamento dell’imposta.
In questo modo, però, si butta sabbia sugli ingranaggi, perché, se tutti i sostituti d’imposta muovessero in quella direzione, l’Agenzia delle entrate si troverebbe sommersa da milioni di nuove dichiarazioni, sulle quali, lo si voglia o meno, si dovrebbero programmare nuove modalità di controllo. Si tratta di attività che costano e che, in qualche modo, vanno finanziate, con conseguente maggiore impegno economico gravante sulla collettività.
Se questo discorso è chiaro, allora dovrebbe essere altrettanto chiara la conclusione: il sostituto che si spogli di questa casacca non diventa, per ciò, stesso una persona libera dalle catene del Fisco; anzi, egli rafforza la consistenza di quelle catene, ingolfando la macchina amministrativa e rendendola, in un modo o nell’altro, più costosa.
Scritto il 3-10-2009 alle ore 13:53
Finalmente un imprenditore che compie un atto di disobbedienza civile su una questione che io ritengo reale,pur essendo io un operaio.Non trovo corretto che l’imprenditore si carichi di costi e complicazioni che non lo riguardano:le retribuzioni dovrebbero essere pagate ai dipendenti al loro di tutte le ritenute previdenzili e tributarie e dovrebbe essere il dipendente poi a fare la dichiarazione e a pagare il dovuto,é una questione di giustizia indipendente dal maggior onere da parte dello Stato.Vorrei sapere una cosa:ma lo Stato retribuisce l’attività dei sostituti di imposta?Se no,perche’ visto che invece,per l’invio dei 730 i caaf e i sostituti di imposta che svolgono questa funzione,vengono retribuiti?
Scritto il 4-10-2009 alle ore 12:08
la diatriba ritorna sempre su un punto: che il sisteda del gettito fiscale è forte delle certezze date dal lavoro dipendente. senza saremo con le casse dello stato non in linea con le programmazioni. giusta riflessione precedente il sostituto in quanto garante per lo stato di esaurire il prelievo fiscale e riversarlo non ha diritto ad alcun riconoscimento. alla fine egli stesso si trova in caso di errore, da qualsiasi natura dedotto, a dover pagare sanzioni ….ma il diritto è in questo caso solo in negativo e nulla vale l’azione del presidente della cooperativa di pordenone. l’unico merito è forse quello di aver acceso un dibattito su una legislazione ancora ancorata a principi che risalgono al 1973….
Scritto il 4-10-2009 alle ore 13:33
Ma il fatto della certezza del prelievo fiscale non puo’ venire prima di sacrosanti principi e diritti…si possono escogitare metodologie che impediscano ai dipendenti di evadere.Basta obbligare il datore di lavoro a comunicare all’Agenzia delle Entrate il totale lordo che ha dato al dipendente nell’anno e quindi non ci sarebbe via di scampo.Il dipendente,poi,dovrebbe pagare allo stesso modo dell’autonomo,con acconti e saldi in base al reddito dell’anno precedente,sia per quanto riguarda i contributi sia le imposte…parità di trattamento ci vuole.E lo scrive,ripeto,uno che é dipendente a cui viene comodo che faccia tutto il datore di lavoro.E magari,se questo meccanismo mettesse lo Stato in condizioni di un po’ di incertezza,ci sarebbe uno stimolo in piu’ per intensificare la lotta all’evasione.E comunque,al giorno d’oggi,con i sistemi informatici e le banche dati,incrociando i dati possono fare verifiche molto piu’ veloci,se si vuole.E razionalizziamo la PA,riducendo il personale dove ce n’e’ in eccesso e aumentandolo quello addetto ai controlli fiscali,alle ispezioni sul lavoro,alla giustizia e alla sicurezza…se funzionassero bene anche solo questi tre comparti,avremmo gia’ risolto molti problemi.
Scritto il 4-10-2009 alle ore 23:27
E’ certo che le norme fiscali non sono il Vangelo, e che si può dissentire da quanto esse prevedono, proponendo alternative che si ritengono più corrette in termini di efficienza economica, coerenza giuridico-sistematica oppure di semplice buon senso.
Ma se ci rifacciamo alle norme vigenti non mi sento di sottoscrivere quello che dice il prof. Beghin: l’imprenditore di Pordenone è un evasore. Viola palesemente la norma che gli impone la ritenuta e il versamento nelle casse dell’Erario.
Ma sono sicuro che il prof. Beghin questo lo sa perfettamente.
Ciò su cui ci invita a riflettere è allora altro. Il meccanismo della sostituzione è fondamentale per il sistema fiscale, ma ha dei costi: vogliamo che esso sia privato (come adesso), o vogliamo rendere anch’esso pubblico scaricandolo sull’AdE?
Scritto il 6-10-2009 alle ore 13:21
Caro Sig. Franchi,ci sono vari sistemi per evitare che cio’ accada:l’obbligo del datore di lavoro di comunicare all’agenzia delle entrate il compenso lordo elargito ai suoi dipendenti,incombenza che sarebbe molto veloce,a costo quasi zero per il datore di lavoro e il pagamento da parte del lavoratore di rate di acconto ogni due mesi…volendo si puo’ fare tutto.
Scritto il 7-10-2009 alle ore 13:42
Nel caso da me proposto,non c’entra nulla il contrasto di interessi,infatti,il datore avrebbe lo stesso interesse di prima a dichiarare cio’ che da al lavoratore quanto nel sistema attuale (quindi da quel punto di vista,nulla cambierebbe.) e imponendogli di dichiarare all’agenzia delle entrate i versamenti fatti ai dipendenti,l’agenzia delle entrate avrebbe dati certi e il dipendente sapendo che l’agenzia delle entrate sa esattemente quanto é il suo reddito,non puo’ dichiarare di meno,perche’ con i moderni sistemi informatici,si potrebbero rilevare le discordanze anche solo con l’uso di programmi automatici.Altro discorso é quello della riscossione,in cui non si puo’ parlare di “evasione” perche’ non si tratta di evasione.Ma li basterebbe rendere piu’ celere il sistema delle riscossioni e rendere le sanzioni efficaci (cio’ dovrebbe valere in generale,non solo per i dipendenti).Al di la di cio’,comunque,in primis,almeno,si dovrebbero mettere in busta paga e ritenere stipendio lordo,tutte le ritenute previdenziali,unificandole invece di avere attualmente una parte che risulta a carico del datore di lavoro e una parte a carico del dipendente:che senso ha tutto cio’?Se io ho uno stipendio lordo di 1500 euro,i contributi previdenziali a carico del datore sono il 23,51% di 1500 e quelli del dipendente il 9,49% che sommati fanno il 33% di 1500,se non erro.Non ha alcun senso questo sitema,visto che comunque tutti i contributi previdenziali sono versati dal datore di lavoro e non ha senso questa distinzione perche’ anche i contributi versati da datore sono a favore del dipendente.Quindi,facendo un calcolo semplice:il 9,49% di 1500 é pari a 142,35;il 23,51 %% di 1500 euro é pari a 352,65;il 33% di 1500 é pari a 495 euro;1500+352,65=1852,65 cioe’ il costo totale del dipendente in termini di contributi,tasse e stipendio netto;495 (che sono i contributi previdenziali totali che vengono versati in favore del dipendente) rappresentano il 26,71 %.La mia proposta é di mettere in busta paga 1852,65 da li far pagare un aliquota unica di contributi previdenziali pari al 27%,poi detratto dall’imponibile i contributi versati,si calcola l’imposta da pagare.E si dovrebbe esterndere la stessa aliquota contributiva a tutte le categorie di lavoro,siano autonomi,artigiani,commercianti,cocopro,ecc ecc.Insomma un sistema che guarda al reddito e al pagamento di contributi e imposte in relazione alla sua entità e non in base a quale lavoro abbia creato quel reddito.Non sarebbe piu’ giusto?E a questo proposito equiparerei le detrazioni per la no tax area che oggi é differenziata:dovrebbe essere uguale per tutti,a parità di reddito.
Scritto il 14-10-2009 alle ore 13:44
e quindi,Sig. Franchi,ritiene giusto che lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti siano trattati allo stesso modo?Se la vogliamo allora mettere da un punto di vista di discriminazione qualitativa,allora occorrerebbe tener conto del fatto che un lavoratore autonomo non ha nessuna copertura da parte dello Stato rispetto a perdita di lavoro,mentre un dipendente statale a tempo indeterminato,se non combina qualcosa per cui si merita il licenziamento,ha il posto praticamente assicurato fino alla pensione…anche rispetto ad un dipendente privato…quindi sarebbe giusto tassare di piu un dipendente della pubblica amministrazione rispetto ad un dipendente privato,e tassare di piu’ un dipendente privato a tempo indeterminato che abbia accesso agli ammortizzatori sociali rispetto ad un autonomo che non ha nessuna copertura da parte dello Stato?E tassare di piu’,a parità di reddito,un pensionato che ha la pensione garantita fin che scampa rispetto ai lavoratori che non hanno certezze assolute?Riguardo al sostituto di imposta,visto che lei dice essere indispensabile,per lo meno,é previsto da parte dello Stato il pagamento del servizio che le imprese compiono al posto suo,cosi’ come viene fatto per i CAAF e per i sostituti di imposta per la presentazione del modello 730 ?
Scritto il 14-10-2009 alle ore 13:46
E volevo anche chiedere a tutti se la mia proposta di riunire in un unico prelievo a carico del lavoratore il prelievo contributivo,inserendolo tutto in busta paga,invece di questa falsa divisione di “carico” tra datore di lavoro e dipendente che non ha,secondo me,nessun fondamento.
Scritto il 14-10-2009 alle ore 15:39
Un dato di fatto mi pare evidente, sopratutto nella parte conclusiva dell’articolo: il sistema fiscale ha un costo. Lo Stato sceglie su chi far gravare tale costo: nel caso specifico la scelta ricade sui sostituti d’imposta piuttosto che sull’intera collettività. Ovviamente mi viene spontaneo chiedere se ciò sia equo, dal punto di vista sociale. Il fatto che esistano delle categorie produttive che più di altre devono farsi carico di impedire che “la macchina amministrativa s’ingolfi” ci rende realmente tutti uguali di fronte alla legge? (penso in particolare alla citata categoria degli artigiani che spesso ha un’organizzazione amministrativa estremamente ridotta se non inesistente, oserei dire non dissimile da quella del singolo lavoratore dipendente, e tuttavia sull’imprenditore, qualunque sia la sua dimensione, si sceglie di far ricadere il compito e quindi il costo, di fungere da sostituto d’imposta). Ci troviamo forse di fronte ad uno di quei casi in cui lo Stato sceglie di sacrificare il principio dell’equità per consentire a Se Stesso di essere maggiormente efficiente?
Credo, diversamente da quanto sostiene il prof. Beghin, che l’imprenditore di Pordenone non abbia tanto voluto “liberarsi dalle catene del Fisco” quanto piuttosto rivendicare il fatto che talvolta il “costo dell’ingranaggio Fisco” è pagato da alcune categorie di soggetti produttori di reddito più che da altre. Non sarebbe più opportuno, come qualcuno prima di me ha sostenuto, semplificare il sistema (al fine di ridurre i costi di controllo) e contemporaneamente far ricadere il costo “dell’ingranaggio Fisco” sui percettori di reddito?
Scritto il 14-10-2009 alle ore 16:04
in effetti il commento della Sig. Tolu mi fa pensare che forse sarebbe addirittura giusto che il costo che il sostituto di imposta sostiene per questo ruolo,gli fosse pagato in parti uguali dallo Stato (in quanto il sostituto gli da certezza di introiti e minori spese proprie) e dal lavoratore (in quanto,se questi non ha altri motivi per presentare dichiarazione dei redditi,risparmia il denaro necessario per gli adempimenti fiscali che il sostituto fa al suo posto ).
Scritto il 15-10-2009 alle ore 13:39
Beh,Sig. Franchi,non credo che il problema degli oneri di gestione ritenute sia un aspetto cosi’ minimale per le aziende,soprattutto per quelle piccole…
Scritto il 17-2-2010 alle ore 15:59
Forse prima di ogni cosa occorrerebbe considerare che tra tassazione diretta ed indiretta il prelievo fiscale arriva al 75% del lavoro prodotto da un dipendente o da una piccola azienda.
Se poi si considera che un eventuale prestito dea parte di una banca rapina INTERESSI ILLEGALI, che circa il 22% delle tasse che paghiamo vanno in tasca a BANKIERI PRIVATI (furto legalizzato), ci si chiede cosa si può (e si deve fare ) perchè questi furti cessino.
Il divide et impera è ancora valido e finchè non riusciremo a fare azione comune saremo sempre in balia dei despoti di turno.
Vincenzo Merlo
custa23@tiscali.it
Scritto il 8-11-2011 alle ore 08:31
La Liguria(per il momento)dovrebbe costituire un
comitato di disobbedienza fiscale nei confronti dei comuni.
Non pagando le tasse comunali e chiamando ditte preposte,far fare i lavori necessari e urgenti,perchè le ditte interpellate dai comuni subappaltano ad altre ditte e così via,praticamente (mangiano in tanti) nessuno lavora i problemi rimangono per anni,e si continua a pagare (morire-perdere tutto)che senso ha?